I miei giorni tra i falconieri della Mongolia. Ecco il racconto del mio viaggio.

Un'accampamento di nomadi falconieri in Mongolia

Nell’agosto del 2015 durante un viaggio in Mongolia, ho trascorso quattro giorni da sola in una famiglia di nomadi falconieri, quella della quatordicenne Aisholpan, la prima falconiera donna in settemila anni di storia. E’ proprio lei la protagonista di “The Eagle Huntress” lo spettacolare film presentato all’ultimo Festival di Roma e che uscirà nelle sale a settembre 2017. (Ti consiglio di vedere il trailer ufficiale

Non era stagione di caccia quindi non ho visto né lei né suo papà Agalai andare a cavallo sulle montagne con un’Aquila Reale sul braccio. In compenso mi sono immersa nella loro quotidianità, dal momento in cui aprivamo gli occhi la mattina a quando si spegneva la luce la sera. Nel tempo che ho passato con loro, ho capito che nella gher c’è spazio per tutti, il senso della privacy non esiste come neppure i confini tra dentro e fuori dalla tenda: casa per i nomadi è fino a dove arrivano a pascolare i propri animali.

In questo post ti racconto quello che ho vissuto.

Un' aquila reale allevata dai falconieri
Un’aquila nel pascolo dei falconieri


E’ la cosa più folle che tu abbia mai fatto” mi ripeto seduta nell’ufficio dell’agenzia viaggi Blue Wolf.

Sono a Ulgii, una cittadina ai piedi dei monti Altai, lontanissima dalla capitale Ulaan Bator. In questo territorio ai confini occidentali della Mongolia, vivono i falconieri con la tradizione più antica del mondo.

I falconieri rimasti al mondo sono all’incirca 70, quasi tutti vivono in Mongolia e si trovano proprio concentrati qui in questa regione chiamata Bayan- Ölgii e cacciano con le aquile più grandi del mondo, quelle reali dei monti Altai.

I falconieri rimasti in Mongolia sono esclusivamente di etnia Kazaka e anche se si sono trasferiti nel Paese da oltre 200 anni hanno mantenuto la loro lingua e sono mussulmani.

Sono anni che voglio ripercorrere i passi di un fotografo del National Geographic che negli anni settanta ha documentato la vita di questi incredibili cacciatori. Non ricordo il suo nome ma ha colpito in pieno il mio immaginario tanto da viaggiare sin qui e trascorrere tra loro quattro giorni della mia vita. I falconieri mi vengono a prendere a Ulgii, l’appuntamento é nel piccolo ufficio dell’agenzia che ha reso possibile questa avventura, la Blue Wolf. Entra un giovane sui 25 anni con lo sguardo severo seguito da un uomo più anziano dal viso scavato, il naso aquilino e le gambe incredibilmente storte. Scoprirò più avanti che anche se ne dimostra più di 50, Agalai ha solo 40 anni ed è uno dei più leggendari falconieri del mondo. Ha gli occhi buoni e un sorriso sincero, mi allunga un succo di frutta e mi fa cenno di salire su una jeep che guiderà il ragazzo per il quale sembro essere una vera scocciatura. La jeep è uno Uaz, un mezzo militare russo con le sospensioni rigidissime e condizioni interne che sembra il cimelio di una missione in Irak; Agalai invece viaggia sulla sua moto, altro residuato bellico. Da adesso in poi inizia qualcosa che non ho mai fatto prima:

Sarò una donna da sola in un’enclave kazaka di religione mussulmana, da qualche parte nella steppa mongola dove non c’è linea per fare una telefonata e dove nessuna parla una lingua che conosco.

Mi aspettano giorni di mutismo assoluto
Mi aspettano giorni di mutismo assoluto
I falconieri mi accompagnano al loro accampamento degli Altai a bordo di uno UAZ
Il ragazzo serio, la jeep e Agalai con il casco
Alcuni nomadi falconieri e le loro famiglie stanno insieme
In primo piano Agalai, un pomeriggio durante un classico momento di riposo in cui si beve birra e vodka nelle ciotole del thé. Quando ho fatto questa foto ero già un po’ alticcia 😉

La strada verso casa loro è il mio primo assaggio della scomodità della vita nomade.

Lasciata la Blue Wolf compriamo 5 litri di acqua al supermercato tutta per me visto che i batteri del loro pozzo mi farebbero stramazzare in un istante. Viaggiamo per un paio d’ore su sassaie immense, guadiamo fiumi, incrociamo uomini al pascolo con i loro cammelli. Attraversiamo distese color polvere che lambiscono colline di una liscezza assoluta. A tratti il terreno diventa erboso, ma di un manto impalpabile, mi fa pensare a borotalco di giada.

Il giovane al volante della Jeep non apre bocca e mi ritrovo a stringere la macchina fotografica  alla ricerca di un po’ di sicurezza. La strada, che non è una vera strada, è bellissima ma affrontarla su un mezzo privo di sospensioni si rivela al di là del bene e del male. Sobbalzo di continuo, il viaggio è estenuante.

Con chi ricorderò questi momenti?  In situazioni come questa vorrei qualcuno con cui ridere.

Cammelli attraversano una pista nei monti Altai, nella regione dei falconieri
Paesaggi dal vetro ingiallito della jeep

La nostra traversata termina su un immenso prato con all’orizzonte tantissime tende tonde e bianche, sono le gher, uguali a tutte quelle che ho visto fino ad oggi in Mongolia. Tutt’intorno montagne e all’orizzonte un ghiacciaio.

Lo scenario natuale che circonda un accampamento di falconieri negli Altai

Quando la jeep parcheggia tutta la famiglia è schierata davanti alla gher e altra gente sta arrivando dalle tende vicine per assistere all’evento del mio arrivo. Forse sarebbe meno imbarazzante se ci fosse un altro viaggiatore e invece sono sola, una minuta donna italiana con una grande macchina fotografica al collo catapultata in una comunità di cui ignoro tutto in uno dei territori più remoti e difficili della terra. Non c’è dubbio che anche loro si stiano chiedendo perché mai sono venuta fin qui.

Quello che è certo che in questo momento sono molto più esotica io per loro che loro per me.

Saranno circa le quattro e nella gher la tavola è imbandita di biscotti secchi, formaggio e tazze di the. Parenti, amici, vecchi e bambini entrano ed escono in un vociare che sembra di essere in un mercato di Napoli. Ovviamente nessuno parla inglese, addento un biscotto, affogo nel the e prendo confidenza con questo mondo che per un po’ sarà anche casa mia.

Nella gher dei nomadi c'è posto per tutti e la privacy non esiste
La gher al mio arrivo (notare l’abbronzatura da muratore del ragazzo seduto a destra)

Una tavola imbandita per la colazione in una tenda di nomadi falconieri in Mongolia

 

Pare che per vedere i falconieri a caccia dovrò tornare, non siamo nella stagione giusta, ma ho la fortuna di vivere con Aisholpan, la campionessa mondiale di Falconeria, l’unica donna al mondo, ma che dico, bambina!

E’ agosto e non è stagione di caccia, inizieranno in autunno, imparo che non ha senso venire prima per chi vuole vedere all’opera i falconieri, ovviamente l’agenzia Blue Wolf non me l’ha detto. Aisholpan ha solo 14 anni ma un anno fa ha vinto il celebre Festival delle Aquile, sbaragliando cacciatori provenienti da tutto il mondo. E’ la più giovane di tutti i tempi e la prima donna nella storia dell’arte falconeria. Discende da una famiglia di grandi cacciatori, lo era il padre di Agalai e lo stesso Agalai è uno dei più leggendari falconieri. Anche se è diventata un modello di emancipazione e ha girato un film di portata internazionale, Aisholpan non ho perso nulla della sua dolcezza, è rimasta timida e mite. È la figlia più grande della famiglia e per questo affianca la mamma in molti lavori domestici, per lei nulla sembra cambiato: munge le pecore, raccoglie i cavalli, cucina, lava i piatti non si ferma mai, come la mamma Alma.

Asholpan è la prima donna della storia che ha battuto falconieri venuti da tutto il mondo.
Nel 2014 Aisholpan, a soli 13 anni, ha vinto il campionato mondiale di falconeria battendo cacciatori venuto da ogni parte del mondo. E’ la prima donna a praticare questa antica arte.

L’aquila di Agalai si chiama Bosagàa, quella di Aisholpan Arkanat. Vivono entrambe di fronte alla tenda, legate a una corda abbastanza lunga da muoversi un po’ di qua e un po’ di là ma troppo corta per volare. Mi fanno una gran tristezza, mi aspettavo che i falconieri avessero un rapporto più stretto con le loro aquile, ma a parte dargli da mangiare un paio di volte il giorno le ignorano completamente. Io nel dubbio giro alla larga, hanno un becco e degli artigli spaventosi.

Per tradizione i falconieri catturano le aquile dal nido quando sono ancora piccole, devono essere rigorosamente femmine perché sono le più feroci.

Le addestrano per due o tre anni sino a che imparano a individuare la preda volando sopra il territorio di caccia, scendere in picchiata, uccidere l’animale senza rovinarne la pelliccia e attendere l’arrivo a cavallo del proprio padrone. L’aquila sa che alla fine della caccia sarà ricompensata con pezzi di carne fresca della preda che di solito sono volpi e piccoli animali, più raramente giovani lupi. Trascorsi dieci anni le Aquile tornano a essere libere.

Le aquile reali della Mongolia vengono catturate dai falconieri quando sono ancora piccole
Le aquile rimangono legate fuori dalle gher per mesi interi quando non è periodo di caccia.
Aisholpan e Giorgiana Scianca
Aisholpan e io
Falconieri Mongolia Asholpan
Dall’album dei ricordi che ho trovato nella gher: Agalai con Aisholpan appena nata immortalati davanti a un’aquila e un trofeo di caccia.

Aisholpan, campionessa mondiale di falconeria, nella gher prepara la cena mentre il padre riposa.

Le gher sono un miracolo dell’ottimizzazione degli spazi ma molte delle cose che noi facciamo in casa loro le fanno fuori…

Una donna kazaka fuori della gher e il latte filtrato

….tipo radersi o lavarsi i denti. La gher della famiglia di Agalai è piena di tappeti variopinti e lungo il traliccio che sorregge la tenda hanno fissato medaglie, cimeli e fotografie sbiadite, spazzolini e dentifrici. Ripongono i vestiti dentro valigie e tra i materassi sovrapposti, come fossero dei cassetti. Al posto delle sedie usano sgabelli e la tv è un piccolo cubo alimentato da una parabola e un pannello solare piazzati fuori dalla gher. Tutte le tende dei nomadi hanno la porta d’ingresso rivolta a sud, lontana dai venti gelidi del nord, mentre sulla destra si trova sempre la cucina, il panno appeso che filtra il latte in una ciotola e un barile in cui lasciano fermentare l’airag; il latte diventa formaggio ma anche tchai, una bevanda calda ottenuta unendo foglie di the sminuzzato e sale. Tutto sommato è la cosa migliore che ho assaggiato qui, tutto il resto è abbastanza orrendo, dal montone bollito fino alla testa di pecora lessa. Al terzo giorno ho finto la nausea per saltare almeno un pasto senza offendere nessuno.

Momadi kazaki si lavano i denti e dsi radono in mongolia
Alma si lava i denti e Agalai si rade

La bellezza e la calma di Alma

Volto donna kazaka, moglie di un falconiere della Mongolia
Un ritratto di Alma

Alma è la moglie di Agalai e la sorella maggiore del giovane scontroso che mi ha portata fin qui. Ha dei meravigliosi occhi verdi ma li tiene sempre abbassati e ha lo sguardo ammaliante di chi viene dall’Asia centrale. La ricordo sempre in attività perché qui gli uomini non fanno nulla, da soli non si versano neanche il the. La rivedo accucciata davanti alla stufa che in ogni gher si trova esattamente nel centro e intorno a lei ruota tutta la loro vita. C’è sempre qualcosa che arde sul fuoco. A intervalli regolari Alma apre lo sportello della stufa e, con le stesse mani con le quali taglia il pane che mangerò io, prende lo sterco secco e lo mette nel pertugio assieme a pezzetti di cartone.

La sera, seduta con lei sul letto, le faccio provare la mia crema idratante Estée Lauder, Alma se la spalma sul viso segnato dal sole e dal gelo e ride di gusto.

Quando sono partita le ho lasciato tutte le creme e le medicine che avevo con me, loro non hanno neanche un cerotto.

In Mongolia ho imparato cosa significa non avere nulla di veramente tuo.

Sotto questa tenda dormiamo, viviamo e mangiamo in otto. Papà Agalai, mamma Alma, fratello di mamma (Bahkitbak) e i 4 figli Samarkan (25 anni), Aisholpan (14 anni) Saigluk (10 anni) e Denislan (7 anni). Come ho già scritto nel titolo di questo post, il senso della privacy nella gher non esiste, ci si alterna anche i letti. Io sono l’unica che sa sempre con certezza deve mettere il sacco a pelo quando scende la sera. Un paio di notti ho fatto posto a Saigluk sul mio materasso altrimenti a lei spettava il tappeto, povera stella. Quando la mattina si sveglia Saigluk e incrocia il mio sguardo il viso le sorride per la felicità di ritrovarmi ancora lì. Mi sento inadeguata con il mio sacco a pelo di piuma d’oca quando lei è protetta da due coperte sudicie quanto i vestiti che indossa di giorno e che usa anche per dormire. Il bagno semplicemente non esiste, se serve ti allontani nella steppa con un rotolo di carta igienica alla ricerca di un cespuglio tutto per te alle pendici della montagna.

 

Volto donna kazaka, moglie di un falconiere della Mongolia
Dopo il primo forte impatto si è creata una strana armonia fatta di silenzi e sguardi di intesa.
Giorgiana Scianca in Mongolia
Una foto di me quando sono a mio agio
Un momento di vita quotidiana in una gher di falconieri in Mongolia
Denislan e Saigluk al risveglio
Aisholpan e sua sorella Saigluk
Aisholpan e Saigluk, con loro ho passato la maggior parte del mio tempo a passeggiare e giocare. Come tutti qui hanno le guance perennemente arrossate, sono i segni lasciati dal vento e dal gelo dell’inverno
Per certi versi non sono tanto diversi da noi, se fuori fa brutto i bambini vedono le fiction in tv e Agalai guarda le corse dei cavalli. Oppure, se ci sono io, pistolano il mio ipad Air ;-)
Per certi versi non sono tanto diversi da noi, se fuori fa brutto i bambini vedono le fiction in tv e Agalai guarda le corse dei cavalli. Oppure, se ci sono io, smanettano sul mio ipad Air 😉

In questa famiglia non si cambiano quasi mai, in quattro giorni perlomeno non è mai successo. Tranne l’ultimo, quando mi hanno riaccompagnata a Ulgii e Alma per l’occasione si è messa una bella gonna rosa e una maglietta in tinta che non le avevo mai visto. Non so se e dove si lavino, ma non hanno un cattivo odore se non quello degli animali che curano da mattina a sera. Denislan, detto “Dinka”, è il figlio più piccolo, ha gli occhi di una dolcezza disarmante. Questa estate 2015, in cui ci sono io, sono certa che l’abbia trascorsa quasi tutta indossando gli stessi fuseaux leopardati e una maglietta verde di Spiderman troppo piccola per lui: se la tira verso il basso continuamente e anche se i grandi gli alzano i pantaloni fin sotto le ascelle, alla fine sta sempre con il pancino scoperto fin sopra l’ombelico.

Un bambino nella steppa mongola
L’outfit estivo del più piccolo, Denislan

Lo spirito del mio viaggio l’ho trovato a cavallo negli Altai.

Fare un viaggio in Mongolia senza farsi un giretto a cavallo è come passare da Napoli senza mangiarsi una pizza. E così tramite l’agenzia di Ulgii ho chiesto ad Agalai di fare anche una passeggiata a cavallo. Non avevo messo in conto che da queste parti, dove i bambini imparano a cavalcare quasi prima di camminare e dove per i nomadi i limiti di noi turisti non sono ancora molto chiari, il concetto di giro a cavallo non corrisponde all’esperienza riposante contemplativa che avevo in mente io. Qui si fa sul serio.I cavalli partono dall’accampamento tirati da un ragazzino circa due ore prima di noi, mentre il solito ragazzo serio accompagna me e Agalai con la jeep fino l’inizio del percorso. Un altro viaggio senza ammortizzatori su piste di pietre da cui esco con la schiena a pezzi e i pantaloni squartati all’altezza di un fianco grazie a una vite che si è impiglia al momento di saltare giù dalla jeep. A peggiorare le cose c’è un vento gelido e tesissimo. Con la mia sciarpa di yak intorno ai fianchi a coprire lo sbrego e Agalai sorridente e fresco come una rosa, saliamo sui cavalli e li guidiamo a zig zag su, su, lungo una ripida sassaia per un tempo lunghissimo, forse un’ora. Una volta in cima capisco perché Agalai mi ha portata qui: siamo completamente immersi in uno scenario di una bellezza struggente, nulla che somigli a quanto avevo potuto vedere nella foto o immaginare nella mia mente prima di partire. Cavalchiamo senza parlare in un’armonia perfetta, a volte scendo dal cavallo e vado a piedi per via delle ginocchia che mi fanno male.E’ il luogo più incontaminato e remoto che io abbia mai visto, il percorso dura quattro ore, raramente incontriamo un pastore, non c’è anima viva quassù, nient’altro se non praterie, animali al pascolo, colline che diventano ghiacciai e un cielo infinito.

La quiete e la bellezza di un paesaggio della Mongolia.Eccolo il senso del mio viaggio, arrivare fin qui, vedere che nel mondo esistono posti come questi

giorgiana scianca su un cavallo in Mongolia nei monti Altai

La forza e la delicatezza dei nomadi.

Istintivamente viene da pensare che se uno è rozzo fuori lo sarà anche nell’anima e invece, i nomadi hanno una loro delicatezza. E’ successa una cosa che mi ha convinta di questo. Un giorno Agalai mi invita a salire con lui sulla moto, a gesti mi spiega che mi accompagna nell’unico punto vicino all’accampamento dove c’è un po’ di linea per il telefono. Io non parlo e non sento nessuno da tre giorni quindi salgo con slancio sul solito residuato bellico, sfido strade da Parigi-Dakar e finalmente sento la voce del mio ragazzo e mando qualche whatsup per confermare a tutti che sto bene.

Il punto di linea si trova su un promontorio, nell’aria c’è solo il suono della mia voce unita a quella di Agalai, un flusso di parole kazake miste a italiano, se qualcuno passasse vedrebbe due con il telefono all’orecchio accovacciati vicini, eppure in questo momento non potremmo essere più lontani. Per il tempo della telefonata mi sembra di tornare a casa dopo un viaggio lunghissimo.

Di ritorno inizio a intuire perché Agalai mi abbia voluto tenere lontana dall’accampamento: davanti alla gher ci sono le viscere di un montone appena ammazzato, probabilmente tutto ciò è avvenuto appena siamo saliti sulla moto per andare a telefonare. Credo proprio che non sia stato un caso e che volevano risparmiarmi la vista di una scena troppo cruenta per me. Ora che sono tornata sono tutti intenti a pulire la carne e appenderla dentro la tenda a seccare. Aisholpan stende al sole la pelle dell’animale e un tizio con un’accetta tenta di separare le corna dal cranio.

Cholpan stende ad asciugare la pelle del montone
Aisholpan stende ad asciugare la pelle del montone

So che tutto l’orrore che sto vedendo fa parte del ciclo della vita ma io non sono in grado di reggerlo, è insensato quanto il fatto che anche se amo gli animali sono carnivora. Ma stasera la zuppa di montone non la voglio, mi faccio una lunga passeggiata lontano dalla gher pensando che gli animali che allevano sono il loro unico nutrimento, se fossero tutti come me, che in tre settimane di mongolia non sono manco riuscita a mungere una pecora, morirebbero di fame.

La verità è che alla fine mi adatto a tutto, per questo credo nessuno vuole mai seguirmi in viaggio. Eppure ci sono due cose di cui non mi capacito di questo posto:

  1. Il perenne odore di latte cagliato che si respira nella Cher. 
  2. Come si possa sopravvivere all’inverno glaciale della Mongolia riparati solo da una tenda. Avrei voluto chiederglielo ma la barriera linguistica non me l’ha permesso. Quando è estate e ci sono anche 10-20 gradi se piove senti l’umidità che sale dalla terra, attraversa i tappeti e ti entra nelle ossa. Non si dimentica un’esperienza come questa, non è stata facile ma ha portato la mia coscienza a sapere che mentre io sto facendo la spesa alla Coop loro stanno ammazzando un montone e che mentre io accendo i termosifoni loro escono nel gelo a cercare lo sterco per la stufa che di notte si spegnerà. Ora che sono tornata e arriva l’inverno non posso impedirmi di pensare a loro.

Nel momento in cui sto scrivendo queste righe la App ilMeteo segna -18°

A distanza di più di anno, il mio soggiorno con Agalai e la sua famiglia ha avuto un epilogo sorprendente.

Ho aspettato un anno per mandare alla famiglia un piccolo album con le foto che gli ho fatto in quei giorni, aspettavo che fosse di nuovo estate e le poste funzionassero regolarmente. L’ho spedito alla Blue Wolf chiedendo loro di consegnarlo ad Agalai quando passasse per Ulgii. Da quel giorno non ho più saputo nulla, credevo fossero andate perse nel lungo tragitto.

Dopo oltre un anno dai quei giorni passati con Agalai, Aisholpan e la sua famiglia, ho ricevuto una mail da un ragazzo indiano appena tornato da un viaggio in Mongolia.

Anche lui aveva trascorso qualche notte nella gher di Agalai dove aveva trovato il mio indirizzo email proprio sull’album di fotografie che avevo spedito un paio di mesi prima dall’Italia. Mi ha scritto che l’album troneggia sul tavolo della gher come un coffee table ed è diventato un oggetto di orgoglio per tutta la famiglia così che ogni volta che mostrano le immagini ad amici, parenti, turisti e gente di passaggio, parlano di me e dei giorni trascorsi insieme.

Falconieri mongolia altai
La foto ricevuta da Amar, il ragazzo indiano, mentre nelle gher di Agalai tiene tra le mani il mio album di fotografie.

Non so se e quando tornerò mai in questo posto incredibile, ma sono certa che ne conserverò il ricordo finché vivo e che ovunque sarò ci sarà sempre un filo sottile che attraversa il mondo intero fino a raggiungere quella gher spersa tra le steppe. Qualcosa che sembrava effimero continuerà a vivere fin quando esisteranno quelle immagini, magari a forza di guardarle si consumeranno presto o forse, chissà, passeranno tra le mani delle future generazioni.

Foto ricordo di Giorgiana Scianca in Mongollia e della famiglia kazaka di falconieri con cui ha trascorso quattro giorni
Con la famiglia di Agalai al completo davanti alla gher
Viaggio in Mongolia di Giorgiana Scianca tra le aquile reali
Non credo mi capiterà una seconda volta di tenere un’aquila reale sul braccio. Pesa davvero tanto, gli artigli si poggiano su un guanto di pelle molto spesso usato sempre dai falconieri. In questa foto, tra me e lei, c’é solo il mio pile.

 


E ora due o tre dritte da sapere per chi, durante un viaggio in Mongolia, vuole soggiornare presso una famiglia di falconieri.

Come dicevamo i falconieri sono in realtà Kazaki e si concentrano in una regione specifica che si chiama Bayan- Ölgii, la provincia (aimag) più occidentale della Mongolia. Questo gruppo etnico rappresenta il 90% della popolazione di questa zona, sono mussulmani e anche se parlano mongolo la loro lingua madre rimane il kazako; percio’ quando arriverai lì tutto quello che avrai imparato con una fatica bestiale a dire in mongolo non ti servirà a nulla e per salutare dovrai dire Saloumaleikum, se possibile con una buona accento araba, oppure Saubòl!  Anche se sono mussulmani non sono praticanti e il Dio Cielo rimane il loro punto cardinale, il Tangri, come per tutti i nomadi della Mongolia.

COME RAGGIUNGERE LA PROVINCIA DI BAYAN- ÖLGII

La regione è spettacolare ma sembra di arrivare alla fine del mondo. Si raggiunge con un estenuante viaggio in jeep o autobus da Ulan Batoor, calcola un minimo di due giorni su strade degne di un Camel Trophy. Io ho preso l’aereo, ci sono pochi voli e se vuoi prenotarlo dall’Italia devi affidarti a un’agenzia del posto altrimenti non ci riesci., fidati. Io ho preso il volo tramite la Idre’s Guest House di Ulaan Batoor (www.tours2mongolia.com), l’hanno comprato loro e li ho pagati con Western Union. In alternativa ti segnalo Discover Mongolia (www.discovermongolia.mn) e Golden Gobi (www.goldengobi.com).

CHI ORGANIZZA SOGGIORNI  CON I FALCONIERI

Come ho già scritto io sono passata tramite l’Agenzia Blue Wolf di Ulgii, hanno contatti con moltissime famiglie di falconieri in diverse zone e hanno una grande varietà di proposte per scoprire sia la cultura nomade e il territorio che comprende anche il meraviglioso parco nazionale Altai tavan Bogd.

Considera che il costo del soggiorno nell’insieme è caro, io per 3 notti ho pagato alla Blue Wolf 240 dollari + 60 dollari per il trasferimento da Ulgii all’accampamento e ritorno. Dividerlo con un compagno di viaggio lo renderà certamente più economico. Se non hai un budget troppo limitato chiedi di avere al tuo fianco durante tutto il soggiorno una guida che parla inglese, riuscirai a comunicare con la famiglia che ti ospita e farti un bagaglio di conoscenze di come vivono, cosa pensano e ogni genere di curiosità che io non ho potuto esaudire visto che non avevo un traduttore.

Infine la Blue Wolf offre un’ottima sistemazione per dormire in città, hanno allestito delle belle gher molto comode e il bagno anche se è in comune (uomini e donne sono separati)  è sempre pulito e le docce sono calde.

Non conviene secondo me rivolgersi a agenzie italiane o a agenzie di Ulaan Bator per organizzare un soggiorno con i falconieri o un tour degli Altai, alla fine anche loro si appoggiano alla Blue Wolf e a un paio di altre agenzie di Ulgii che non ho provato, per risparmiare qualcosa da investire magari in una guida, conviene accordarsi direttamente con loro sul posto.

Rispetto ai nostri standard organizzativi,  in Mongolia è tutto MOLTO approssimativo, se poi ci si allontana dalle rotte più turistiche come nel caso di questa regione, le cose sono ancora peggiori, non hanno ancora la cultura del turismo come la intendiamo noi e la comunicazione in inglese non è agevole, lo sanno in pochi e abbastanza male. Quindi conserva una buona dose di pazienza e apriti all’improvvisazione, in qualche modo alla fine la strada per fare ciò che desideri la trovi. Io alla Blue Wolf ho scritto dall’Italia per prenotare per tempo il soggiorno con i falconieri, ma mi hanno risposto che avremmo deciso tutto quando sarei stata lì in ufficio da loro! Fino all’ultimo momento non sapevo se e dove sarei andata.

Ricorda che per accedere a molte zone della provincia serve un visto speciale (sarà l’agenzia a richiederlo agli uffici locali e a consegnartelo prima della partenza) ma non dimenticare che il venerdì per i mussulmani è come la nostra domenica e gli ufficio sono tutti chiusi (la Blue Wolf rimane aperta)

COSA SERVE PORTARE DURANTE UN SOGGIORNO CON I FALCONIERI

Acqua, per bere, decidi di quanti litri hai bisogno e poi comprane qualcuno di più

Carta igienica, portane molta nel caso ti accorgessi di essere delicato di stomaco….

Un buon sacco a pelo, una torcia e una giacca pesante

Piccoli giochi per i bambini, li adoreranno

Porta salviette umidificate per quando non ne puoi più di sentirti l’odore di pecora addosso e le salviettine intime.

Nelle tende a turno caricano il cellulare a una presa elettrica ma dove ero io ad esempio non c’era campo neanche se avevi un operatore locale. Scordati internet, in pratica sarai immerso COMPLETAMENTE in un mondo nuovo e senza interferenza con il nostro. Se hai un caricatore da macchina sia per il telefono che per la batteria della macchina fotografica portalo, in Mongolia fondamentale, soprattuto se fai anche un viaggio nel Gobi

In ogni modo compra a Ulaan Baator una scheda locale per il telefonino per poterlo usare anche a Ulgii.

Prima di partire dall’Italia fai indigestione di fermenti lattici (chiedi la confezione da 24 mln) e portati qualcosa da mangiare quando non sopporterai più l’aroma di montone

CONSIDERAZIONI GENERALI SU QUESTO TIPO DI ESPERIENZA

Come ho già scritto sul mio post La Mongolia vista da uno UAZ viaggiare in Mongolia è fisicamente impegnativo, a maggior ragione se ci si immerge nello stile di vita nomade per qualche giorno. Si percorrono per lo più piste sassose, quindi assicurati di affidarti a autisti preparati.

L’estate è il momento migliore per visitare la Mongolia, il clima è mite e a luglio  e agosto però il periodo più spettacolare per conoscere questa grande tradizione è ai primi di ottobre, quando a a Ulgii si svolge il Festival delle Aquile e falconieri da tutto il mondo si sfidano a cavallo con le loro aquile in gare di caccia, velocità e precisione.  Uno spettacolo che lascia senza fiato.

 

Un falconiere in Mongolia

Clicca qui per vedere il mio progetto fotografico “Nomadic

Clicca qui per leggere il racconto del mio viaggio nel Deserto del Gobi

 

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