FUGA IN LAOS. A cavallo tra due anni a Muang Ngoi Neua.

1 gennaio 2014 –

Non riesco a ricordare chi mi abbia consigliato di arrivare fino al villaggio di Muang Ngoi Neua, nel nord del Laos.

Fatto sta che sono su una piccola lancia in mezzo al Nan Ou diretta proprio lì. A destra e a sinistra le montagne sono ammantate da vegetazione primordiale che scende fino al fiume, gli alberi svettano sulla boscaglia e fasci di liane inclinano i rami verso il basso. Una leggera foschia attenua i colori e sfuma i contorni, c’è l’odore di umidità e un silenzio da confini del mondo.

La vita della gente che vive qui scorre al fianco della mia lancia, incurante di me e dei bufali che pascolano nell’acqua. Le donne lavano i sarong immerse nel fiume fino al ginocchio, mentre un uomo gracile porta in spalla un grosso fascio di legna. Ogni tanto la barca si accosta alla riva per fare scendere e salire le persone, caricano e scaricano casse di birra Beerlao e altre vettovaglie. I villaggi devo essere nascosti dentro la vegetazione perché a riva non vedo capanne.

 

Uomo legna Muang Ngoi Neua

 Il ragazzo americano salito sulla lancia con me a Nong Khiaw si chiama Rob, vive da tre anni a Hoi An, in Vietnam.

A San Francisco faceva il musicista, ora insegna inglese ai bambini vietnamiti di Hoi An. Solo che la vita notturna nella magica Hoi An è troppo tranquilla per i suoi gusti, e tra un paio di mesi torna a vivere a Hanoi. Su questa lancia siamo i soli stranieri e così abbiamo iniziato a chiacchierare appena lasciata la terra ferma. Stasera è Capodanno e decidiamo di passarlo insieme, anche lui è in viaggio da solo.

Per quello che ho visto fino ad oggi, nessun paesaggio fluviale è suggestivo quanto quello che abbraccia Muang Ngoi Neua. Questo posto è sul bilico di diventare molto diverso da com’è ora, credo di essere arrivata appena in tempo per vederlo nel suo essere autentico.

Muang Ngoi Neua si raggiunge solo via fiume – ci vuole circa un’ora e mezza di navigazione da Nong Khiaw, cittadina fluviale a due ore di autobus da Luang Prabang- ed è per questo che è rimasto isolata dal seppure minimo progresso culturale e economico che sta facendo il Laos; eppure non è così distante da Luang Prabang, il cuore pulsante del Paese. Non c’è wi fi né campo per il cellulare, le strade non sono asfaltate, non ci sono le macchine e quasi nessuno parla inglese. Ma l’aumento del flusso dei viaggiatori, arrivati qui con il passaparola, ha fatto drizzare le orecchie ai pochi abitanti del villaggio che si stanno organizzando: ci sono un paio di umili bar per la colazione, qualche ristorantino e due o tre botteghe dove ho scovato i manufatti in seta più belli del Laos. E poi ci sono le guest houses sul fiume che, anche se modeste, hanno quell’amaca su cui dondolarti guardando il tramonto che vale il viaggio tutto intero.

Visto che è Capodanno, alle otto i giovani del posto sono già ubriachi di Lao Lao, il whisky di riso che fanno da queste parti. Lao, in laotiano, significa alcol, dal nome si può intuire quanto sia forte. Per capire se il Lao Lao è venuto abbastanza forte, si versano un po’ di whisky su un dito e gli danno fuoco. Se si infiamma significa che il Lao Lao supera i 50 gradi e che quindi va bene. Il mio capodanno nel posto più isolato del mondo è stato pieno di Lao Lao rigorosamente spra i 50° e di molta gente: francesi, tedeschi, svizzeri, polacchi, americani, in viaggio da tanto o poco tempo, seduti intorno a un fuoco sulla sabbia lungo il fiume, a parlare di grandi cose della vita come se ci conoscessimo da anni. Ed io, che non reggo manco un Aperol, ho preso una della ciucche più micidiali degli ultimi dieci anni.

 E’ il primo gennaio 2014. Mi sono svegliata nel mio bungalow gelido e umidissimo ancora vestita, con la nausea e un mal di testa tremendo.

Rob è morto, credo, stava messo molto peggio di me ieri sera, il suo bungalow è sprangato. Vado a fare colazione e mentre mangio pane e marmellata su un tavolo un po’ zozzo quasi nel mezzo della strada polverosa, noto un vecchietto a pochi metri da me, è accucciato per terra e si toglie chirurgicamente i peli della faccia con una pinzetta .

Sto sempre peggio.

Poi arriva un bambino mezzo nudo, avrà si e no 2 anni, si accuccia anche lui esattamente nel centro della strada, e inizia a piangere. Emette un unico lamento, non acuto ma continuo, è la prima volta che sento piangere in questo modo.

E’ ora di camminare, devo smaltire tutto. Dietro il villaggio inizia un altro paradiso, si aprono a perdita d’occhio campi, montagne ammantate di vegetazione, fiumiciattoli.

Sono arrivata in un posto che ho chiamato “La valle incantata”. Ecco una foto che rende vagamente l’idea.

 

Muang Ngoi Neua-7

 

So che da qualche parte ci sono anche villaggi abitati da minoranze etniche. Ho in mano una cartina incomprensibile e cammino per cinque ore, incontrando poca gente, per lo più contadini e animali che tornano dai campi a bordo di questi strani mezzi agricoli che hanno la ruota anteriore distantissima dal volante, sembra più un aratro che un trattore. Rob mi ha detto che questi veicoli esistono solo in Laos. Alla fine ho raggiunto un villaggio, un agglomerato di capanne su palafitte tra le quali sfrecciamo bambini mezzi nudi e maialini laoitiani, uomini che lavorano e donne che allattano  davanti al fuoco avvolte nel sarong. Incrocio con lo sguardo un ragazzo cinese, un turista con la macchina fotografica come me, ancora non lo so ma tra meno di 24 ore diventeremo amici e condivideremo una parte del nostro viaggio.

A proposito, in Laos ti salutano tutti, CIAO qui si dice Sabaidii.

Te lo senti ripetere fino alla nausea e tu ormai lo dici anche al vento. Anziani, adulti bambini e persino i maiali, se potessero, saluterebbero. E’ uno dei Paesi più accoglienti del mondo e più ti inoltri fuori dai posti dove ci sono tanti turisti più loro diventano gentili. Qui sono gentilissimi.

Sfinita e ancora in stato confusionale rientro a Muang Ngoi Neua, ormai sono le cinque. In una traversa dell’unica strada del Paese c’è una tavolata in festa, bevono, mangiano e fanno il karaoke che qui va alla grande. Mi avvicino per fare una foto, a loro non sembra vero e mi obbligano a sedermi. Mangio solo una strana cosa verde che hanno appena tolto dalla padella: alghe fritte ricoperte di sesamo, si chiamano “khai pene” e sono spettacolari! Mi allungano un bicchiere pieno di Lao Lao. No grazie, davvero, but thank you comunque. Sto ancora male a sentirne l’odore.

Il mio 2014 si apre proprio così, seduta a un tavolo tra la polvere di un villaggio dimenticato da Dio, a mangiare alghe fritte con 10 laotiani sbronzi che cantano a squarciagola. Dentro di me sorrido, e penso che questo anno che inizia sarà di sicuro eccezionale .

 

Muang Ngoi Neua

 

One thought on “FUGA IN LAOS. A cavallo tra due anni a Muang Ngoi Neua.”

  1. The people of Lao are widely regarded as some of the most friendly and easy-going people in the world, and Muang Ngoi Neua locals are even friendlier than folks in the larger towns.

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