HANOI, L’UOMO VENUTO DAL PASSATO

29 luglio 2014 –

Sono quasi le dieci del mattino e cammino con fatica lungo il marciapiede di Tran Hung Dao, una strada ampia del quartiere francese di Hanoi. Fatico perché è umido, fatico perché fa caldo, fatico perché mi sono svegliata all’alba e ho un gran bisogno di caffè. Ora che il sole è già alto Hanoi ha cambiato volto. E anche io. Sono perlata di sudore, tengo la fascia di seta rossa sui capelli che con questa umidità anche loro hanno cambiato forma, per essere più precisa l’hanno completamente persa.

Non so dove fermarmi, sento il bisogno di occidente, ho bisogno di sentirmi al sicuro tra cose che conosco. A volte in viaggio da sola, quando mi sento stanca, va così.

Non se ne parla di far colazione alla loro maniera, con noodles bollenti e accucciata su uno sgabello lillipuziano piazzato nel mezzo del marciapiede con i motorini che mi sfrecciano a un metro. Trovo un bar (l’unico) che sembra vero, con la porta, le vetrine  sulla strada e l’aria condizionata. Ordino un caffé e qualcosa da mangiare mi risponde che hanno solo pho, zuppa con pezzi di manzo, noodles e spezie.E’ la brioche dei vietnamiti. Va bene, portatemi un pho, mi arrendo. Il pho piccante unito al caffé fumante è un’abbinata allucinante eppure per non fare la figura da italiana finisco orgogliosamente tutto.

Pho
La mia colazione a base di Pho e caffé caldo

Riprendo il mio cammino ma poco più avanti mi inchiodo davanti a un caffé molto particolare: fa angolo, il dentro si confonde con il fuori, sedie e tavoli sono minuscoli come sempre ma questa volta in un bel legno di tek. E’ un posto che ha carattere da vendere e anche le persone sedute sono scenografiche: chi sfoglia un quotidiano, chi si legge un tablet, chi fuma, mi viene voglia di fermarmi di nuovo, stare dentro la scena e vedere che succede. Così faccio e ordino il secondo caffé, stavolta senza Pho.

Senza neanche chiedermelo qualcuno si siede al mio tavolo. Alzo gli occhi e vedo l’uomo dalla barba d’argento che poco fa era a qualche tavolo più in là .

Vous parlez français? Mi chiede piegandosi leggermente verso di me “Oui” gli rispondo.

Mi sorride. L’inglese non lo conosce e se io non avessi parlato il francese non avrebbe saputo come comunicare. Vin Lum ha 84 anni e non taglia la barba dal 1952. “Prima era nera” mi dice nel suo francese incerto.

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Mi racconta che era un matematico e che siccome faceva anche l’insegnante la guerra non l’ha fatta, né quella contro i francesi e neppure quella contro i viet min e gli americani. Ora è in pensione ed è vedovo da due anni.

Mentre lo dice guarda verso la strada, mi sembra che gli si velino gli occhi ormai ridotti a due fessure profonde incorniciate dalle rughe. Provo dolore per lui.

Sembra venuto da un’altra epoca solo per sedersi in questo bar e offrirmi un caffè.

Su un taccuino antico quanto lui, scrive il mio nome, la mia email e il mio numero di telefono della Viettel. Poi si alza aiutandosi con il bastone e mi saluta stringendomi la mano con rispetto. Se ne va perché deve raggiungere un suo amico che oggi compie gli anni. Mi rimarrà sempre la curiosità di vedere com’è una festa di compleanno di un anziano vietnamita alle dieci di un martedì mattina.

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4 thoughts on “HANOI, L’UOMO VENUTO DAL PASSATO”

    1. Ciao Luca, allora ti dico questo, che qualche giorno dopo il Pho, ho scoperto che amavo fare colazione con la Ban Mi: è una baguette fragrante (la migliore cosa lasciata in indocina dai francesi) riempita con paté di carne di non so cosa, salse e spezie dolci e piccanti, insalata e cetrioli. Da quel momento ho capito che, ovunque andrò, non morirò mai di fame.

      1. Da come la descrivi, la Ban Mi mi susciterebbe molta meno diffidenza di quella brodaglia abominevole che si vede nella foto… In ogni caso, mi viene da pensare che se uno riesce a introdurre in Vietnam il cornetto alla crema di pistacchi, svolta.

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