La Mongolia vista da uno UAZ

Sono partita per la Mongolia perché negli anni ’70 National Geographic aveva pubblicato un articolo sugli Eagle Hunters, uomini che addestrano le aquile reali alla caccia. Avevo scoperto che sono kazaki e che vivono in una remota regione orientale della Mongolia. Ero consapevole che avrei affrontato un viaggio scomodo e con pochi turisti, qualche manciata di disperati che come me stavano cercando qualcosa ai confini del mondo.

Lo dico subito, in questo post non parlerò né di cacciatori, né di aquile ma di quello che ho trovato e che non mi aspettavo nel mio viaggio improvvisato nel deserto del Gobi. Il mio racconto sui giorni trascorsi con i falconieri lo trovi qui

La Mongolia è un Paese che evoca immensi spazi e un senso di libertà estremo, eppure quando ti trovi lì capisci che trascorrerai più tempo con altri che con te stessa.

Fin qui nulla di male, partire in solitaria non significa voler rimanere sempre sola, il punto è che è l’unico Paese in cui mi sono sentita dipendente da tutti e da tutto. Un po’ mi è pesato eppure se non fosse andata così non avrei capito molte cose su di me e sugli altri.

La prima manifestazione di dipendenza si è chiamata Tsestegee, è stata la mia chiave di accesso a questo folle Paese in cui nessuno ti capisce e tu non capisci nessuno. E’ una signora mongola con uno spiccato senso per gli affari, ma la sua unicità è la padronanza dell’inglese, una rarità da queste parti. Gestisce la Idres Guest House a Ulaan Bataar e una flotta di 50 persone, tra guide e autisti, capaci di accompagnarti ovunque in Mongolia e in viaggi che possono durare anche intere settimane.

La premessa da fare è che le zone della Mongolia che valgono il viaggio sono distanti dalla capitale e in mezzo al nulla, e quando scrivo nulla parlo di ore di steppa dove è impossibile orientarsi e dove ti chiedi se, oltre a cavalli, pecore e cammelli, ci sia mai passato qualcuno prima di te.

vuoto

La seconda forma di dipendenza è che sei totalmente legata al noleggio di un mezzo con autista che si tramuta nella ricerca di compagni di viaggio, inevitabilmente improvvisati, con i quali condividerai i costi, le ore passate a osservare la steppa dietro ai finestrini, le notti e i risvegli nelle gher, la scelta di cosa cucinare sul fornello a gas e persino il rotolo di carta igienica, che alla fine del viaggio diventerà lo stesso per tutti, serenamente.

Il 30 luglio sono partita diretta al Deserto del Gobi su un mitico UAZ, un pullmino di fabbricazione russa guidato da un autista di nome Taska che parlava solo Mongolo.

io nel gobi

E mentre guardo il tettuccio interno trapuntato da gomma piuma di un azzurro cielo, inizio a farmi un’idea delle condizioni delle strade nella steppa. Il gruppo di cinque persone con il quale sono partita si è creato grazie a Tzetsegee nei giorni in cui sono rimasta alla Idres Guest House, un ostello rumoroso affacciato su un viale trafficato ai confini del centro, dove tutti parlano con tutti, raccontandosi da dove vengono e dove stanno andando, di come hanno ottenuto il visto per la Cina, com’è la transmongolica, quanto costa la transiberiana e mentre li ascolto penso che vorrei continuare il mio viaggio in ogni direzione. Nella zona comune dell’ostello si incontrano decine di israeliani, canadesi, tedeschi, francesi, olandesi e a volte, raramente, italiani. Come Alessio.

alessio al bagno quadrata

Alessio l’ho conosciuto una mattina alle undici, lui era ancora ubriaco dalla sera prima ed io ero vittima di un tremendo jetlag che non mi faceva dormire da due notti. Visto come eravamo ridotti, la nostra prima conversazione è stata surreale. E’ toscano, ha 26 anni, e da tre viaggia per l’Oceania e l’Asia con una laurea in agronomia che gli ha permesso di lavorare nei vigneti di Australia e Nuova Zelanda. Con i soldi che guadagna continua a viaggiare. Abbiamo deciso di partire insieme per il Gobi, ma prima ha dovuto convincere me, la milanese imbruttita con la rigidità di chi non viaggia da un po’, che era normale affrontare il deserto più pericoloso del mondo (questa era la mia definizione di Gobi), senza una guida ad accompagnarci e cucinando noi, come Robinson Crusoé. Col senno di poi aveva ragione lui, ma difficile fidarsi di uno con una maglietta così!

dallo UAZMentre il paesaggio fuori dal finestrino dello UAZ scorre sempre uguale e ascoltiamo la musica da un alto-parlante collegato a un ipod, guardo i miei compagni di viaggio e penso che dentro questo pulmino sgangherato c’è un bel pezzo di mondo.

asrin

Asrin è curda ma vive in olanda da più di 20 anni. Suo padre era un pilota militare del governo iraniano che dopo la caduta dello scià, si è ribellato all’obbligo di prestare servizio, ha finto di precipitare in Irak per poi chiedere asilo politico. Ai tempi la sua storia era finita sui giornali facendo molto scalpore e l’Onu lo aveva aiutato a stabilirsi con la sua famiglia in Olanda. Asrin viaggia per la polverosa Mongolia con un corredo di vestiti bizzarri che cambia quasi ogni giorno, voglio pensare che in aeroporto abbia invertito la sua valigia con una ragazza diretta a New York, forse in luna di miele.

bonnieBonnie è una coreana nata a Los Angeles, una designer freelance che da oltre 1 mese vagabonda da sola per la Mongolia con un sacco a pelo e una piccola tenda verde che monta e smonta ogni giorno.Bonnie mi racconta che guardando di notte i cieli stellati della Mongolia trova le risposte alle sue domande e che viaggia per sentirsi più forte e amare più intensamente le persone Si ferma dove capita a seconda di cosa le piace, come si sente e di chi conosce; sentirla parlare di cibo coreano è un viaggio nei sensi, dalla sua borsa escono, da mattina a sera, alimenti che non ho mai visto né sentito nominare. Da quando l’ho conosciuta ho sviluppato un’inedita curiosità per la Corea del Sud.

taliaTalia è un israeliana che ha viaggiato a lungo e in largo il sudamerica, il sudest asiatico e l’Australia; ora vive in un villaggio non distante dal mar nero. Fa la cuoca in una mensa, è specializzata in cucina e massaggi thailandesi e ogni volta che Bonnie descrive i segreti dei piatti Coreani a Talia brillano gli occhi. Ci ha preparato le migliori insalate che io abbia mai assaggiato, e per riuscirci in un paese con una scarsissima presenza di verdure fresche ci vuole un talento speciale. Mentre scrivo credo che stia partecipando a un master sui dolci.

 

ilaria deserto 1Ilaria è un’amica di Alessio, sempre pronta a partire per posti remoti, e così ha pensato di raggiungerlo in Mongolia. Con un programma calcolato al secondo, manco fosse il lancio di una missione Nasa, l’abbiamo intercettata nel cuore della notte in una polverosa cittadina persa nel deserto del Gobi. Nel viaggio con l’Aeroflot dall’Italia aveva perso la coincidenza da Mosca e così una volta atterrata a Ulaan Bataar per raggiugerci ha percorso otto ore di sterrato a bordo di un autobus mongolo. Un viaggio che avrebbe ammazzato un toro e invece Ilaria si è presentata a suo agio come se in Mongolia ci fosse sempre stata. A lei devo la scoperta della Fanta all’uva, un’incredibile voglia di vedere il Guatemala e il ricordo indelebile della salita alla vetta delle dune di Khongoryn Els. Ilaria è la conferma che “impossibile is nothing”.

Non so perché ma quando racconto di un viaggio raramente le mie prime parole sono dedicate ai paesaggi e luoghi di interesse. Istintivamente ripenso al quotidiano e ripercorro le sensazioni che mi hanno lasciato le persone che ho conosciuto, a cosa ci siamo detti, alle esperienze che ho vissuto da sola o con loro. Dalla qualità di tutte queste cose giudico il mio viaggio, quello in Mongolia è stato indimenticabile.

 

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Con la Nikon addosso anche quando lavo i piatti (Foto by Alessio)
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Sfiniti sulle cime del Kongoryn Els (Selfie)
Alessio si improvvisa hair stylist per tagliare le doppie punte dalle chiome di Bonnie
Alessio si improvvisa hair stylist per tagliare le doppie punte dalle chiome di Bonnie

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Qui siamo con dei Mongoli all’inizio di una serata normale finita molto alcolica

lavaggio

alessio in cucina
Una delle immagini che non dimentico è quella di Alessio che ogni sera si accuccia tra la polvere di fronte alla gher, accende il fornello e cucina per tutti. E a noi che a turno gli facciamo luce con la torcia perché nel Gobi, mentre Alessio cuoce il sugo e fa bollire l’acqua della pasta, è già calato il buio.

 

Ma più di tutti mi torna e ritorna la sensazione di sentirci pionieri in un mondo lontano

Un nucleo compatto alla scoperta di paesaggi immensi intervallati dai racconti delle nostre storie, dalle canzoni che canticchiava l’autista, dalla pause pipì nel vuoto cosmico della steppa e dal gelato al gusto formaggio quando ci aspettavamo fosse vaniglia.  Siamo entrati in contatto con tante famiglie di nomadi, e con alcune abbiamo passato un po’ di tempo ad osservarci in silenzio e a giocare con i loro bambini. Sempre noi e loro, due mondi distanti secoli che si sfiorano per qualche ora.

gioco

E’ successo che loro ci lasciassero la tenda per la notte, noi buttavamo a terra i sacchi a pelo e dormivamo vicini. La mattina fuori dalla gher trovavamo le famiglie che dormivano a terra sotto pesanti coperte mentre la sera prima avevano portato i bambini in motorino a dormire nella gher della famiglia più vicina. Tutto per racimolare qualche soldo dai noi turisti, per la precisione 5 dollari a persona.

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So che avrebbero voluto farci molte domande, mi è mancata moltissimo la possibilità di parlare con tutte le persone che ho incrociato. Ancora non so ogni quanto i nomadi spostano la gher, come scelgono il posto dove stabilirsi, cosa pensano di noi occidentali e dove vanno quando hanno male a un dente.

Ho capito che il vuoto che hanno intorno non li spaventa e che la vita che vivono è tutto ciò che conoscono.  Di me stessa ho scoperto che e che mai saprò abituarmi al sapore del loro montone bollito e del latte di giumenta.

gruppo

 


E ora due o tre dritte da sapere prima di partire per il deserto del Gobi

La zona del Gobi è il cuore di un viaggio in Mongolia, metti in conto un minimo di sei giorni per vedere le principali meraviglie naturali del secondo più grande deserto del mondo. Bayanzag, chiamata anche rupi fiammeggianti, è una zona di canyon la cui roccia al calar del sole si infiamma di rosso mentre tu seduta su quelle rocce guardi l’immensità  della steppa che silenziosa si perde all’orizzonte, oppure Khongoryn Els, immense dune di sabbia sottile da scalare a piedi nudi per sentire la loro voce, un suono intenso e misterioso che sembra portato dal vento. Si dice che sia il canto della sabbia, un intrigante fenomeno naturale che succede solo qui.

Cosa serve al 100%:

Acqua, per bere e cucinare, decidi di quanti litri hai bisogno e poi comprane qualcuno di più

Carta igienica, portane molta nel caso ti accorgessi di essere delicato di stomaco….

Un buon sacco a pelo, una torcia e una giacca pesante

Piccoli giochi per i bambini

Se viaggi low budget come me scordati i bagni e le docce, porta salviette umidificate per quando non ne puoi più di sentirti l’odore di pecora addosso, ancora un po’ di cartagienica e le salviettine intime.

Un caricatore da macchina sia per il telefono che per la batteria della  macchina fotografica, una volta nelle gher dimenticati le prese elettriche. Compra a Ulaan Baator una scheda locale per il telefonino, nel Gobi a volte ricevevo anche i whatsup!

Prima di partire fai indigestione di fermenti lattici (chiedi la confezione da 24 mln) e portati qualcosa da mangiare quando non sopporterai più l’aroma di montone

Se dopo questo elenco sei ancora interessato a partire, mi sento di aggiungere che viaggiare nel Gobi è un’esperienza fisicamente impegnativa, del resto lo stesso vale per tutte le altre zone del Paese. Si percorrono per lo più piste sassose, quindi assicurati di affidarti a autisti preparati. Di solito il viaggio si affronta a bordo di una jeep o con dei solidi pulmini a 6 posti molto meno comodi ma certamente più economici.

Se sai un minimo di inglese, ti consiglio di organizzare il tour direttamente via email dall’Italia con un’agenzia della capitale. Tra le più affidabili, oltre a Tsetsegee della Idre’s Guest House (www.tours2mongolia.com) ti segnalo Discover Mongolia (www.discovermongolia.mn) e Golden Gobi (www.goldengobi.com) quest’ultima una delle migliori per qualità-prezzo (un tour di 10 giorni per due persone in jeep, inclusi pasti, pernottamenti in tourist camp, guida e autista, ha un costo di circa 1300 euro a persona).

Io ho risparmiato moltissimo condividendo con in 5 il noleggio del pullmino UAZ con autista, rinunciando alla guida e pagando pasti e pernottamenti direttamente alle famiglie di nomadi o nei tourist camp dove abbiamo fatto tappa. Così facendo ho speso meno di 300 euro per sette giorni di viaggio, ma devi mettere in conto sistemazioni abbastanza spartane e servizi igienici quasi inesistenti, tuttavia se l’autista o la guida parla inglese, riuscirai ad entrare in relazione con chi ti ospita, un’esperienza indimenticabile che ti ripagherà di qualsiasi scomodità.

Quando andare?

L’estate è il momento migliore per visitare la Mongolia, il clima è mite e a luglio a Ulaan Bataar si svolge il Naadam , il festival tradizionale in cui ammirare costumi, sport e folclore nazionale mongolo. Ottobre è il mese del festival delle aquile, a Olgii negli Altai, dove falconieri da tutto il mondo si sfidano in sella ai loro cavalli in uno spettacolo che lascia senza fiato.

Ma questa bellissima storia e la mia esperienza tra i falconieri la trovi qui  

 

 

 

 

 

 

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